titolo provvisorio: "Grazie a Lui"

prologo:
Il sangue continuava a sgorgare fuori dalla ferita. Io lo guardavo e mi compiacevo. Avevo fatto davvero un buon lavoro. Questa volta mia madre non mi avrebbe fatto del male. Mi toccai le cicatrici sulla schiena. Cinghie! mia madre non ci andava di certo piano anche se era una donna. Per non parlare del padre. Stava tutto il giorno nel suo ufficio e non usciva mai. Era lui che commissionava i lavori per tutti i gregari. E io dovevo essere la più brava siccome ero sua figlia. Alla sola età di dieci anni mi veniva chiesto di uccidere un uomo, a sangue freddo. La prima volta ero contenta di aver ricevuto il mio primo incarico da mio padre. Mi aveva chiamata una mattina e mi aveva detto che quel giorno non sarei andata a scuola e mi diede un palmare. Dovevo raccogliere informazione su un tizio di nome Libo Fotre, che doveva essere eliminato. Ero così eccitata: avevo avuto una missione, finalmente. Credevo sarebbe stato facile. Seguire, spiare, progettare un piano d’attacco. Questo lavoro si dimostrò durissimo. Intanto aveva un termine: una settimana. Poi questo Fotre non era per niente uno sprovveduto: la sua casa era piena di telecamere e fotocellule sensibili a ogni movimento, e quasi fui scoperta. Me ne tornai a casa a mani vuote. Mia madre mi urlò così forte che mi uscì il sangue dalle orecchie, e lasciò al cinghia a mio padre. La prima volta che fui frustata fu da parte sua. Le altre volte sempre mia madre. Dovevo essere come mio fratello, Sorvo. Lui si che era bravo. A dieci anni non sbagliò niente e per altri quattro anni fu un susseguirsi di successi. Mio padre continuava a congratularsi con lui, per la sua bravura. Continuava a ripetergli che alla sua morte avrebbe preso il suo posto, come un degno successore. Io ascoltavo sempre i suoi discorsi siccome la mia camera si trovava sopra lo studio. La mia camera era uno stanzino senza luce dove stava un materasso come letto, per terra. Non avevo armadio. I miei vestiti erano nell’armadio degli insetticidi e a volte mi trovavo abiti con dei buchi, causati dall’acido. Mia madre. Tutti nella mia famiglia mi trattavano malissimo. Io non ero degna, io non ero imparentata con loro. Ecco ciò che mi dicevano. Mi davano da mangiare il cibo per cani. Solo dopo le feste avevo qualche pezzo di pane e una padella con del sugo bruciato. Non sopportavo più di vivere così. Per questo m’impegnai moltissimo per la nuova missione, per l’ultima ci avevo messo troppo tempo. Dovevo solo raccogliere informazioni sul mercato nero. Avevo un mese di tempo. Questa volta ce la dovevo fare.

posso continuare???

bellissimo.... non è mica quello che avevi postato nell'altro forum?????
comunque, non importa..... continua ti prego... è bellissimo!!!

si lo avevo postato anke sull'altro... vorrei aspettare ancora un po' a postare il secondo capitolo xk vorrei postarlo intero e nn a metà cm fcc di solito...cmq grazie...i commenti e gli incoraggiamenti mi servono x andare avanti nei momenti peggiori....

brava si continua :arrow:

grazie....ma ora ho un altro problemuccio col pc e la kiavetta l'ho prestata a una mia compa....riavvio e guardo se ce l'ho sul pc....

ok ke dannazione........

ok ho ricevuto la kiavetta... nn è tt il capitolo ma un pezzetto:

Capitolo 1: Incontri
Ero sotto copertura, travestita da barbona. Non è molto diverso da come stavo prima, anzi, forse meglio perché ho almeno un po’ più di libertà pensai. Vidi un ragazzino che passeggiava per le vie della città mentre consultava un palmare. Come il mio. Lui sentì su di se il mio sguardo, si fermò e mi venne incontro.
- Tu non hai lo sguardo di una dimenticata da Dio. Chi sei in realtà?-le sussurrò.
Io lo guardai allibita.
- Scusa, non capisco di che parli.
- Anche la tua risposta dimostra che non sei una senzatetto. Io li conosco...
- No ti dico che ti sbagli.
- Non mi puoi mentire, io sono la tua coscienza...
Chiusi per quel decimo di secondo le palpebre e quando le riaprii il ragazzo era sparito. Forse me lo ero solo immaginato. Si, era stato solo un sogno a occhi aperti. Era tutta la mattina che ero lì al freddo sul mio cartone e protetta solo da un foglio di giornale. Mi sentivo liberà però. Poi l'incontro con il ragazzino mi fece venire un dubbio. Magari mi voleva far notare che non sembravo una mendicante. Ebbi paura. Se se ne era accorto uno stupido ragazzino se ne potevano accorgere anche i Mercanti. E la mia copertura sarebbe saltata. Era vero che non sapevo fare niente che mi potesse servire in alcun modo al mio lavoro. A rendere felice mio padre. Perché io non ero affatto felice. Vivere come un verme non mi piaceva per niente. Lo facevo solo per mio padre, infondo l’unico che non mi faceva male al corpo. Solo alla mente. Mio padre era noto per far crollare i nemici stressandoli mentalmente. A straziarmi il corpo ci pensava mia madre e mio fratello, l’unica persona alla quale volevo bene, mi straziava il cuore. Vederlo muoversi come una marionetta governata da mio padre mi faceva stare male. Il male più profondo che mi veniva fatto, quello che piano piano ti viene inflitto e che non passerà alla svelta. Ormai era scesa la sera e assieme agli altri barboni stavo andando in un vicolo chiuso dove avremmo dovuto dormire. Saremmo stati una ventina, tutti che ci trascinavamo dietro il nostro cartone. Vedevo le donne che cullavano i figli e gli uomini che preparavano il falò per riscaldarci. Avevano trovato solo poche cose con cui alimentare la fiamma ma doveva bastarci. Fortunatamente in quella zona della città c’erano moltissimi negozi che ci offrivano cassette di legno da bruciare. Anche loro un tempo erano stati mendicanti ma che grazie alla fortuna erano riusciti a emergere e ora si davano da fare per aiutare gli altri. Anche mio padre li aiutava, ma richiedeva costanza nei lavori e assoluta segretezza. Se non venivano rispettate queste due condizioni veniva, giustamente, la morte. Quella sera mangiavano solo gli uomini perché era martedì, e il martedì toccava a loro sfamarsi un po’. I pochi viveri che riuscivano a racimolare li dividevano e non sempre erano abbastanza per tutti. E ora c’ero anche la mia bocca da sfamare. Mi dispiacque per loro. Andammo a coricarci presto e tutti molto vicini agli altri, per non disperdere il calore. Non riuscii a dormire così decisi di andare a fare un giro. Forse, con un po’ di fortuna avrei trovato informazioni sui Mercanti. Mi incamminai dalla parte opposta a dove mi ero sistemata per tutto il giorno. Camminare mi stava ridando il calore che avevo perso stando sdraiata. Alzai la testa e vidi le stelle e una lama di luna. Continuai a camminare sul marciapiede con il naso all’insù, perciò non vidi il tombino e caddi a terra sbattendo la faccia. Sentii qualcuno ridere alla mia destra ma quando alzai gli occhi per vederlo in faccia mi accorsi di essere sola. Poi sentii qualcosa che mi spaventò: un urlo di una donna. Proveniva dal vicolo alla mia destra e subito mi ci infilai, mandando al diavolo la copertura perché di grida se ne sentivano molte e molto frequentemente, quindi non avrebbero dovuto farmi ne caldo ne freddo. Mi fermai all’angolo della via e sporsi la testa: non vidi nessuno, ne a destra ne a sinistra. E adesso dove vado? Fortunatamente per me sentii un altro grido e presi la strada a destra. Poi vidi un Mercante. Lo riconobbi perché era vestito con l’abito blu dei Mercanti. Cosa buona: avevo trovato i Mercanti; cosa brutta: avevo trovato i Mercanti. Il Mercante teneva ferma una donna, tentando di toglierle dalle mani un bambino. Per il Mercato, ovviamente. Trovai la micro fotocamera nascosta tra le doppie tasche degli stracci che indossavo. Scattai qualche foto poi presi, sempre dalle tasche, una piccola bomba fumogena, mi misi la maschera e la gettai contro il Mercante. Aspettai qualche secondo, poi, come un lampo preparai una siringa col tranquillante e la sparai nelle vene del Mercante, alla quale mi ero avvicinata sfruttando il rifugio del fumo.

ecco un altro pezzetto di capitolo

Presi due bolle e le misi sotto le ascelle del Mercante. Lo trascinai in una cantina che aveva la porta su quella via e lo depositai lì. Poi tornai dalla donna: era shoccata. Presi un bastoncino di metallo e glielo passai dietro le orecchie. Le misi sugli occhi degli occhiali neri e pigiai un bottone sulla stanghetta. Le tappai le orecchie con le dita. L’Offuscatore stava lavorando. Non avrebbe ricordato dell’aggressione. Mio padre proteggeva benissimo la sua zona e voleva mantenere l’integrità della mente degli abitanti. Fatto. Avevo tre secondi per allontanarmi, prima che riprendesse pienamente coscienza di se stessa. Per fortuna il bambino era troppo piccolo per ricordare. Gli esperimenti avevano dimostrato che sui bambini l’Offuscatore produceva istinti suicidi e sarebbe stata una macchia sulla reputazione di mio padre. Tornai nella cantina. Diedi uno schiaffo violento sulla guancia dell’uomo e il rumore che provocai si moltiplicò in un’eco che rimbalzava sulle pareti umide. Il Mercante sembrò riprendersi un po’, ma non ancora abbastanza da rispondere alle mie domande. Così gli tirai un manrovescio che gli lasciò una macchia rossa sulla guancia destra.
- Chi sei?- mi chiese.
- Non sei nella posizione di fare domande. Io ti ho catturato, io ho il potere, io chiedo, tu rispondi.
Sputò ai miei piedi.
- Ti senti più intelligente ora, ad aver sputato su di me, verme?
- Tu sei uno sporco moccioso.
- Sbagli. Semmai sono una mocciosa.
- Bello, catturato da una mocciosa! Cosa penseranno di me i miei compagni quando glielo dirò?
- Penseranno che qualcuno ti abbia ucciso, quando ti troveranno. Non riuscirai mai a dire ad anima viva di avermi vista.
- No, ti prego, risparmiami. Farò tutto quello che vuoi!- supplicò l’uomo, passando da un’espressione neanche lontanamente preoccupata a una di terrore, indescrivibile.
- Ti lascio una possibilità di salvarti. Devi solo...
- Devo solo? Devo solo cosa??
-Devi solo darmi delle informazioni che mi sono utili.
-Tutto quello che vuoi.
Fortuna che un uomo così non era agli ordini di papà... saremmo in cattive mani se per aver salva la vita spifferasse tutti i segreti ai Mercanti pensai.

hai ragione... Se era uno di loro stavano freschi!!!!!!!!!!!

Intanto presi l’Informatore e glielo appoggiai sulle tempie. Gli occhi gli diventarono bianchi e l’Informatore lavorava. Avrebbe rubato tutti i ricordi del Mercante. Gli scienziati di papà erano molto avanzati e avevano creato molti aggeggi utili, che mio padre pagava profumatamente. Fatto: l’Informatore aveva finito. Attaccai il Foglio Scannerizzatore al palmare e presi le sue impronte digitali. Poi gli infilai nel collo una siringa piena di veleno. Lo lasciai che respirava a fatica. La donna ora se ne era andata. Mandai una mail a mio fratello con scritto che avevo delle informazioni e che sarei tornata a casa. Cercai un tombino e mi calai dentro. Il palmare mi indicò la strada che mi avrebbe portata a casa.
Camminai per una mezzora con la sola compagnia del bip del palmare. Ad un certo punto sentii come un sospiro. Mi girai di scatto ma non vidi nessuno. Allora continuai ad avanzare, certa di non essere da sola. Il palmare aveva detto il suo ultimo bip e ora si era zittito. Casa. Salii la scala che portava in superficie. Mi ritrovai nella stanza dello Smistamento, mi avvicinai allo schermo e ci appoggiai sopra la mano. Poi avvicinai la gli occhi alla fotocellula e leccai il sensore per la verifica del DNA. La mia casa era super protetta. Il muro si spostò e rivelò una porta. Mi misi il guanto e aprii la porta. Quanto ho odiato quella porta. Con la maniglia ghiacciata, alla quale più di una volta sono rimasta incollata. Passai davanti alla mia vecchia cameretta, nella quale non mi era concesso entrare. Velocizzai il passo e arrivai davanti alla porta dello studio di mio padre. Non feci niente. Aspettai in piedi immobile.
- Entra.
Aprii la porta, quel tanto da permettermi di entrare e subito la richiusi. L’odore del fumo di colpì come sempre quando entravo in quella stanza.
- Sei già tornata. Significa che hai fallito?
- No padre.
Feci due lunghi passi e fui davanti alla scrivania, nella penombra. Nella mano avevo già il palmare e l’Informatore. Collegò il palmare al suo computer e, dopo averla tolta dall’Informatore, inserì anche la SD. Guardò per un attimo il contenuto poi mi rivolse un sorriso e mi disse:
- Ottimo lavoro. Puoi tornare nella tua camera.
Appena sentii quelle parole credevo di sognare. Non so come ma mi ritrovai nella mia camera. Era piena di ragnatele e subito iniziai a pulirla. Lo feci velocemente. Poi mi gettai sul letto matrimoniale. Mi rialzai subito e feci scorrere le dita sulle coste dei libri nella libreria. Erano quelli la cosa che mi era mancata di più.
vi piace qst pezzetto????

Bello!!!

Mi piace un casino questa ff!!! Dai posta posta posta posta posta!!!!!!!

uffa!ma voi pretendete e basta!!!!

so trop catia, en dialet (in dialetto)

Finalmente ho posato gli occhi sulla tua ff.....
Complimenti, scrivi molto bene....
Continua....

x lucy

Spoiler:

ho letto la tua ff e mi piace tantissimo!!!posta presto!!!

oh, grazie.... però nn so qnd posterò di nuovo....ho pronto uno skifomicropezzo ma nn lo posto così skifomicroso...

Eddai.....
Dai un'ultima occhiata e posta....

sn sl 2 righe in croce e ade nn ho proprio tmp x scrivere.....

Come vuoi....
Non rimandare troppo.....

uff....lo posto???

Non ti sentire obbligata....

Vabbè...se devi postare con uff....allora no....

uff xk è corto....se lo volete lo posto snz problema(al diavolo qll ke ho dtt fino a ora)

Mi sa che anch'io devo rimangiarmi le parole....
Prenditi tempo...io in realtà dovrei andare...quindi non commenterei subito....